Non c’è bisogno di ricorrere a ricerche particolari per rendersi conto che, almeno da noi in Occidente, l’uomo esteriore è dappertutto. Gli abiti giusti, la bella automobile, l’ultimo iPhone: è l’uomo del fuori, delle cose che appaiono. In questi anni può avere anche patito la crisi ed essere preoccupato, toccato dagli affanni del vivere, ma la sua testa resta in esterni, scollegata dall’uomo interiore che giace in lui.
“Conosci te stesso” è l’invito socratico e Marco Aurelio scrive: «Scava nella tua interiorità: dentro di te sta la fonte del bene ».
Agostino: «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso».
Sulla scala dei pensatori e dei Maestri l’invito a pensarsi, meditare, stare con sé stessi è sempre stato potente.
Ma oggi ci domandiamo quanto sia praticabile in un mondo dove a proliferare sono le mille suggestioni rivolte all’uomo esteriore e a lui soltanto. L’uomo interiore non è cercato, non è propagandato e chi lo vuole trovare deve fare per conto suo, con dedizione, ostinazione, sacrificio, fermezza, volontà, alla ricerca di un significato Animico e spirituale, personale.
L’esterno è pieno e l’interno tende a essere vuoto con il risultato che così ci conosciamo a metà e, a chi ci chiedesse chi siamo, non sapremmo bene cosa rispondere. E però onestamente dobbiamo chiederci se davvero c’importa sapere chi siamo. Perché se non c’importa, se ci basta ciò che appariamo, vuol dire che per noi a contare è solo l’uomo esteriore. Quell’Infinito a cui aneliamo, in fondo, è più comodo aspettarlo che impegnarsi a viverlo.
La strada del faticoso, inquieto e duro, talvolta disperato cercare, resta la strada maestra. E lo resta non perché noi dobbiamo essere necessariamente premiati dopo la fatica di averla percorsa, ma perché cercare ci rende persone degne e vive, persone in cammino.
Wanda Pasolini
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